Proposta n. 1
Concorsi più rapidi, più meritocratici, più internazionali, con meno nepotismi, localismi e lobbismi disciplinari.
Occorre innanzitutto distinguere tra concorsi per reclutare e concorsi per promuovere.
Per
reclutare in un’università un nuovo docente (di prima, seconda o terza
fascia) la scelta è fatta da una commissione nominata dagli organi di
governo dell’ateneo che valuta i curricula dei candidati tenendo conto
dei giudizi valutativi espressi in modo indipendente da esperti
italiani e stranieri, nonché di un eventuale seminario pubblico tenuto
dal candidato sulle proprie ricerche. Deve essere esclusa ogni forma di
idoneità. Le regole concorsuali devono facilitare la partecipazione ai
candidati, da dovunque provengano.
Per promuovere un docente
da una fascia a quella immediatamente superiore la valutazione è
effettuata dall’università di appartenenza previo conseguimento da
parte dei candidati di un’abilitazione alla docenza nella fascia
superiore rilasciata da una commissione nazionale. La commissione
nazionale siede in permanenza per un triennio e rilascia l’abilitazione
sulla base del curriculum dell’interessato e di criteri qualitativi e
quantitativi approvati preventivamente e validi per l’intero triennio.
In ambedue i casi sono valutabili esclusivamente i lavori scientifici pubblicati dai candidati nell’ultimo quinquennio.
Occorre
ridurre fortemente, adeguandolo agli standard europei, lo schema dei
settori scientifico-disciplinari ai fini concorsuali che è diventato
una gabbia culturale e l’occasione di lobbismi accademici
microsettoriali.
Per incentivare la mobilità dei docenti tra gli
atenei, ogni università dovrebbe poter promuovere i suoi professori
solo in una proporzione prefissata dei reclutamenti esterni effettuati.
Proposta n. 2
Valutare le università per rimanere in Europa.
Attivare
al più presto l’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema
universitario e della ricerca (ANVUR). La nomina del suo organo
direttivo deve essere affidata a comitati di selezione internazionali,
formati da esperti dei sistemi universitari, in modo da svincolare
l’Agenzia dalle alterne vicende politiche.
L’attivazione di
un’Agenzia nazionale e indipendente permetterà di inserire a pieno
titolo l’Italia nella rete europea già costituita delle agenzie
nazionali di valutazione.
Proposta n. 3
Finanziare le università in base al merito.
Tutti
i finanziamenti statali alle università (fondo ordinario, edilizia,
dottorato, internazionalizzazione, piani di sviluppo, etc.) dovrebbero
essere unificati in un solo capitolo di spesa da ripartire in tre
quote.
La prima è il finanziamento ordinario calcolato per
ogni ateneo sulla base dei costi standard per la didattica (per
studente) e per la ricerca (per docente), con parametri prefissati e
relativamente stabili nel tempo.
La seconda, assegnata su base
annuale o biennale, costituisce la parte premiale della qualità dei
risultati ottenuti dalle università e certificati dall’Agenzia
nazionale di valutazione.
La terza è assegnata come
cofinanziamento statale pluriennale a specifici obiettivi di sviluppo
(nuove infrastrutture, nuove linee di ricerca, miglioramento della
qualità, riequilibrio tra territori, etc.) concordati tra ateneo,
Ministero e Regione.
A puro titolo indicativo, la prima quota
(finanziamento ordinario) potrebbe essere il 70% del totale, la seconda
(incentivi alla qualità) il 20%, la terza (cofinanziamento allo
sviluppo) il 10%.
Proposta n. 4
Finanziare la ricerca con procedure trasparenti e internazionali.
Imitando
gli esempi presenti in molti altri Paesi, è opportuno costituire
un’Agenzia nazionale indipendente per il finanziamento della ricerca
pubblica, cui affidare l’assegnazione di tutti i finanziamenti statali
destinati ai progetti di ricerca delle università e degli enti pubblici
di ricerca, in particolare quelli liberamente proposti in tutti i campi
da gruppi di ricercatori. La nuova agenzia opererebbe valutazioni ex
ante, mentre l’ANVUR valuta ex post.
L’assegnazione ai progetti
di ricerca più meritevoli è fatta sulla base di bandi pubblici, di
metodologie internazionali di valutazione e di procedure valutative
trasparenti, svolte anche in collaborazione con organismi
sovranazionali specializzati (ad esempio l’European Research Council).
Proposta n. 5
Governance universitaria più responsabile, efficace ed efficiente.
Il
modello di governo di ciascuna università deve essere lasciato il più
possibile alle scelte statutarie autonome dell’ateneo, salvo poche
regole di legge comuni per tutte le università come le seguenti.
Le
università devono essere governate dal rettore, dal consiglio di
amministrazione e dal senato accademico, con una forte distinzione
delle funzioni.
Il rettore ha tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione.
Il consiglio di amministrazione, presieduto dal rettore, delibera tutte le scelte gestionali dell’università.
Il
senato accademico svolge tutte le funzioni di indirizzo culturale, di
garanzia e di controllo, delibera lo statuto e tutti i regolamenti.
Il rettore è elettivo.
Il
consiglio di amministrazione è formato su proposta del rettore (senza
meccanismi elettivi dei suoi componenti) approvata dal senato
accademico.
Il senato accademico è interamente elettivo.
Per
quanto riguarda la strutturazione interna di un’università (facoltà,
dipartimenti, corsi di studio, etc.), questa è interamente lasciata
alle scelte statutarie autonome dell’ateneo, eliminando anche i
riferimenti di legge ad organi interni. La legge si limita a fissare
principi di buona organizzazione cui gli statuti devono ispirarsi.
Un
principio potrebbe essere quello che lo statuto fissi un unico livello
di articolazione interna di un’università, che si chiami facoltà o
dipartimento o in altro modo, eventualmente con soluzioni diverse per
ambiti disciplinari diversi. A questo livello è garantita ad ogni
docente la partecipazione al processo decisionale sia per la didattica
che per la ricerca, ridando quindi unitarietà ai due compiti accademici
fondamentali.
Alle singole iniziative, come ad esempio i corsi
di studio, lo statuto garantisce poi la massima flessibilità
organizzativa in base alla volontà dei docenti interessati e al
principio di sussidiarietà verticale, secondo il quale ogni decisione
deve essere assunta allo stesso livello organizzativo in cui la
decisione medesima opererà, riducendo al massimo le piramidi
procedimentali di pareri consultivi a cascata.
Proposta n. 6
Valutare periodicamente i risultati del lavoro ed incentivare i migliori.
Il
corpo docente delle università è articolato in tre fasce, differenziate
per qualità ed esperienza crescenti nella ricerca e nella didattica. In
ciascuna università i professori in servizio in una fascia dovrebbero
essere in numero maggiore di quelli in servizio nella fascia
immediatamente superiore.
Fissato in una legge il principio
irrinunciabile della libertà didattica e di ricerca di ciascun docente
universitario, i regolamenti di ateneo stabiliscono i compiti didattici
minimi, anche differenziandone le tipologie a seconda delle discipline.
Gli organi collegiali delle strutture universitarie attribuiscono i
compiti didattici e gestionali a ciascun docente, anche su base
pluriennale, garantendo un’equilibrata ripartizione dei carichi di
lavoro e dell’impegno nel lavoro di ricerca.
Dovranno essere
possibili due tipologie di rapporto di lavoro: full time o part time,
senza distinzione di stato giuridico. Nel primo caso i docenti si
impegnano a svolgere tutta la loro attività lavorativa, compresa
l’eventuale attività professionale, all’interno dell’ateneo. Nel
secondo caso contrattano con l’ateneo la quota di presenza nelle
strutture universitarie e sono retribuiti in modo proporzionale a
questa. In ambedue i casi i regolamenti prevedono una presenza oraria
minima (senza orario di lavoro) con adeguati meccanismi di controllo.
Il
rapporto di lavoro in ciascuna fascia inizierebbe a tempo determinato e
sarebbe trasformato a tempo indeterminato solo a seguito di una
valutazione della qualità e quantità del lavoro svolto
dall’interessato. Il lavoro scientifico e didattico di ciascun
professore sarebbe comunque valutato periodicamente lungo tutta la
carriera e dall’esito positivo della valutazione dipenderanno gli
incrementi stipendiali.
Proposta n. 7
Più giovani professori e meno lunghi precariati.
In
attesa di ripristinare il normale turn over dei docenti e dei
tecnici-amministrativi cancellando l’attuale blocco quasi totale,
devono essere subito esclusi dal blocco i reclutamenti di ricercatori
(professori di terza fascia).
Va confermato per il 2009 e
potenziato negli anni successivi il reclutamento straordinario previsto
dal Governo Prodi per dare spazio a tanti brillanti giovani ricercatori
precari che attendono di misurarsi in concorsi seri per continuare a
lavorare nelle università.
Occorre modificare la normativa degli
assegni di ricerca in modo da renderli dei veri posti di lavoro a tempo
determinato nella ricerca post-dottorato per un minimo di tre anni e un
massimo di sei, costituendolo nei fatti come il canale di formazione
del docente/ricercatore.
Un certo numero di assegni di
ricerca, comprensivi del finanziamento per la ricerca, dovrebbero
essere banditi direttamente dal Ministero con commissioni
internazionali, lasciando che siano i vincitori a scegliere
l’università o l’ente pubblico di ricerca dove svolgere il loro
progetto di ricerca sull’esempio degli IDEAS - Starting Grants
dell’European Research Council.
Proposta n. 8
Innalzare la qualità dei dottorati di ricerca per innalzare la qualità delle università.
E’
opportuno lasciare agli atenei il massimo di autonomia
nell’organizzazione dei dottorati di ricerca, normalmente in scuole di
dottorato, rendendo obbligatorio un numero minimo di borse di studio
bandite ogni anno per ciascuna scuola di dottorato e un numero minimo
di docenti attivi nella ricerca che vi si impegnano e ne assumono la
responsabilità scientifica.
Va attivato subito un meccanismo
di accreditamento scientifico (ex post) delle scuole di dottorato come
uno dei primi compiti importanti dell’ANVUR.
In attuazione
della Costituzione devono essere introdotte forme di diritto allo
studio per il dottorato di ricerca che è il terzo e ultimo livello
degli studi universitari.
Proposta n. 9
Studenti protagonisti. Diritto allo studio e mobilità in Italia e in Europa
E’
giusto garantire la borsa di studio a tutti gli studenti che abbiano
conseguito l’idoneità alla borsa per ragioni di merito personale e
basso reddito familiare, rivedendo la legge quadro e i successivi
provvedimenti applicativi.
E’ opportuno aprire un canale di
borse di studio assegnate anticipatamente e direttamente dallo Stato,
di cui gli studenti vincitori possano fruire in qualunque università
italiana.
Occorre sostenere finanziariamente gli studenti che
utilizzano il programma ERASMUS per periodi significativi, spingendo in
prospettiva tutti gli studenti universitari italiani a trascorrere un
periodo di studio in un altro Paese europeo.
E' importante
approvare lo “Statuto dei diritti degli studenti” e introdurre
specifici “diritti di cittadinanza” per gli studenti universitari
lavoratori e fuori sede.
E’ necessario rifinanziare il programma
(legge 338/2000) per costruire residenze universitarie adatte ad
ospitare non solo gli studenti con le borse del diritto allo studio ma
anche gli studenti più meritevoli e quelli stranieri.
L’internazionalizzazione delle università passa anche dalla presenza in
Italia di molti studenti stranieri.
E' necessario rivedere le
modalità di accesso all'Università introducendo una selezione basata
sul merito e rispettosa della normativa vigente (264/99).
Proposta n. 10
Più finanziamenti pubblici al sistema universitario e par condicio tra le università.
E’
velleitario pensare di competere in Europa e nel mondo definanziando le
università. Le università devono accettare di riformarsi profondamente
ma devono essere messe in condizioni finanziarie almeno pari alla media
degli altri Paesi europei, ad esempio portando in cinque anni la spesa
pubblica per l’università alla media OCSE (2,8%).
Per favorire
le donazioni liberali alle università (che vuol dire in particolare
donazioni alla ricerca cui molti cittadini italiani appaiono propensi)
il regime fiscale che incentiva il donatore non può dipendere dalla
forma giuridica dell’istituzione che riceve la donazione ma solamente
dalla sua natura e quindi deve valere indistintamente per tutte le
università.